Lecce, "The creative word", Conferenza Internazionale - 17 Maggio 2013
Nu Guo o il Paese delle Donne

Francesca Rosati Freeman

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Nu Guo o il Paese delle Donne è abitato dai Moso, una società matriarcale di 40 000 persone stanziata nel sud-ovest della Cina, a cavallo tra le due regioni dello Yunnan e del Sichuan, attorno al Lago Lugu, sulle pendici dell'Himalaya, a 2700 metri di altitudine.

Qui ho avuto modo di svolgere a più riprese, dal 2005 al 2012, un'indagine sul campo che mi ha fatto scoprire usanze e tradizioni, i cui risultati sono raccolti nel libro Benvenuti nel paese delle donne.

Si tratta di una società senza violenza, basata sul rispetto e sulla mutualità fra genere maschile e genere femminile e bastano solo alcune parole o espressioni della lingua moso per entrare subito in una visione del mondo diversa dalla nostra.

Il lago in lingua moso si chiama Shinami, cioé lago madre. Una parola che esprime un concetto ben preciso: la Natura è madre, viene percepita al femminile e identificata col principio della creazione. Un principio immanente alla natura, non trascendente ad essa. Tutta la natura è divina e la sua venerazione trova il suo culmine nel pellegrinaggio a Gammu, la montagna sacra, la grande dea creatrice e protettrice di tutti i Moso.

A Gammu, si riconosce la funzione partenogenica, la creazione dal nulla, e alla donna si riconosce la funzione della continuità della vita, una funzione creatrice che fa della sacralità, della natura e della donna, una sola entità.

Le donne hanno saputo trasformare un fatto naturale come la maternità in un modello culturale e spirituale.Tutta la società è organizzata intorno al legame materno come i valori di cura, l'individuazione dei bisogni, la condivisione, i rapporti di solidarietà dentro e fuori della famiglia.

L'aspetto spirituale è forse quello che, più di ogni altro, contribuisce a creare e mantenere l'armonia fra uomini e donne, adulti e bambini, giovani e anziani. E' l'energia che connette tutti gli aspetti della comunità. I Moso praticano il buddhismo tibetano, ma di fatto non hanno mai rinunciato al loro sciamanesimo primitivo.

La venerazione che i Moso hanno per la natura e la loro spiritualità si riflettono in ogni piccolo gesto quotidiano: ogni giorno le donne più anziane percorrono avanti e indietro le strade dei villaggi girando i loro mulini di preghiera per ingraziarsi gli spiriti della natura, girano anche attorno allo stupa (monumento funerario) più volte al giorno.

Vengono fatte offerte quotidiane agli antenati sull'altare di casa prima del pranzo o della cena. Il focolaio sempre acceso e posto davanti all'altare degli antenati è l'immagine vivente della loro vita spirituale, simbolo della purificazione.

L'aver partecipato a delle cerimonie e rituali mi hanno fatto capire come la relazione vita-morte sia vissuta al quotidiano e come la vita li riporta costantemente alla morte e la morte alla vita in un alternarsi continuo, in ogni casa si trova la camera dei misteri, il mistero della vita e il mistero della morte, qui le donne danno alla luce i loro bambini e i defunti vengono adagiati in attesa del funerale.

 

Amore e relazione di coppia

Babahuago, camera dei fiori: quale parola più poetica e creativa di questa avrebbe potuto meglio definire il luogo degli incontri amorosi di una coppia. È questo infatti il nome, in lingua moso, della camera dove la donna riceve il suo amante in piena libertà, ma con discrezione. La madre non vuole sapere chi nottetempo si reca nella camera della figlia come la figlia non vuole sapere chi viene a visitare la madre. Questa parola è il simbolo della libertà sessuale delle donne. Per noi sarebbe una conquista, per le donne moso è assolutamente naturale.

Un fattore che differenzia profondamente la comunità moso da molte altre è l'esclusione del matrimonio e della convivenza dallo stile di vita tradizionale. Anzi questi sono ritenuti un attacco alla famiglia stessa. Al matrimonio i Moso preferiscono lo Zou Hun ossia la modalità delle visite notturne.

La coppia non vive sotto lo stesso tetto, ma passa la notte insieme per separarsi all'alba e svolgere ciascuno il proprio lavoro. La coppia è semplicemente considerata troppo instabile per far coincidere amore, famiglia e coabitazione. Ciò non significa che i Moso rinuncino all'amore, alle relazioni sessuali e alla procreazione. Si tratta di relazioni senza compromessi che pongono i due partner su un piano egualitario, esse durano finché dura il sentimento d'amore o semplicemente la voglia di stare insieme.

Al compimento del tredicesimo anno d'età, una grande cerimonia segna il passaggio dall'infanzia alla vita adulta. Questa cerimonia, per le ragazze, in lingua moso, viene chiamata Chai Zhie, mettere la gonna, mentre per i ragazzi viene chiamata Hli Zhie, mettere i pantaloni, infatti sia le ragazze che i ragazzi, in questa occasione, ricevono il costume tradizionale che indosseranno per le feste e le cerimonie, oltre che per le danze serali , ma la ragazza riceve anche la chiave della sua "camera dei fiori" dove, quando si sentirà pronta, riceverà la persona di suo piacimento.

La separazione della vita familiare e dei beni patrimoniali dalla vita amorosa, se da una parte rinforza e sostiene la stabilità della famiglia e ne consente la salvaguardia, dall'altra garantisce a tutti, uomini e donne, una grande libertà in fatto di sesso, offrendo la soluzione a due bisogni fondamentali della natura umana: il bisogno di libertà in amore e il bisogno di sicurezza e protezione. Il patriarcato non ha mai offerto una soluzione al primo bisogno, anzi, sostenuto dalle religioni, lo ha sempre represso, mentre la sicurezza e la protezione, che dovrebbero provenire dal nucleo familiare ristretto si riducono a controllo della donna da parte del marito o compagno. Questo tipo di struttura permette alle donne moso di avere il controllo del proprio corpo e della propria sessualità e, poichè le coppie non vivono sotto lo stesso tetto, non si litiga mai per la precarietà della situazione economica familiare né per incompatibilità di carattere e tantomeno si entra in conflitto con i parenti del proprio partner.

Non si litiga nemmeno per l'educazione dei figli che appartengono alla madre e alla famiglia materna.

Oltre alla madre naturale, tutti i componenti della famiglia sono responsabili dell'educazione e del mantenimento dei bambini anche se non sono figli propri. Si può quindi affermare che il concetto di maternità e quello di paternità rivestono un significato diverso dalla genitorialità come la si intende nelle società patriarcali. La figura del padre in effetti è sostituita da quella dello zio materno.

Tutte le donne sono "madri" e tutti gli uomini sono "padri" nell'ambito della loro famiglia materna.

Sono le nonne a trasmettere ai più giovani le tradizioni e ad insegnare l'amore e il rispetto e l'educazione è gilanica, per usare il termine di Riane Eisler, cioé senza differenze di genere nei giochi e nelle attività.

Mancando matrimonio e convivenza non si danno casi di violenza coniugale e, in caso di separazione, non c'è nessun cambiamento di carattere materiale né per gli adulti né per i bambini. Non c'è alcuna riconoscenza giuridica per la paternità biologica per cui il padre non potrà mai pretendere l'affidamento dei figli, la madre non sarà sola a educarli, il suo status economico e sociale non cambierà e i bambini non si accorgeranno nemmeno della separazione, non cambieranno né casa né abitudini, ma continueranno a vivere in seno alla famiglia materna. La separazione della coppia non implica il disfacimento della famiglia. In tal modo si evitano, sia per i bambini che per gli adulti, quei turbamenti psicologici che, nelle nostre società, vengono provocati dalle separazioni e che richiedono anni di psicoterapia per essere sanati.

Psicologi e psicanalisti restano spiazzati di fronte a una società nella quale il complesso di Edipo o l'invidia del pene, non hanno nessun senso, anzi questi concetti perdono la loro universalità al punto che andrebbero riconsiderati: il bambino infatti non deve condividere con il padre l'attenzione della madre. In questo contesto familiare non esiste nemmeno il concetto di orfano: se il bambino dovesse perdere la madre, restano le sorelle e i fratelli della madre a svolgere l'importante ruolo educativo e affettivo che hanno anche in condizioni normali e quindi il piccolo non sarebbe costretto a cambiare né casa né abitudini. Grazie alla non riconoscenza giuridica della paternità, la cultura moso non contempla nemmeno il concetto di figlio illegittimo, eliminando alla fonte un problema che ha dilaniato, nella storia, tutte le altre società: quello della legittimità incerta della prole (mater semper certa est, pater numquam).

La libertà sessuale, che nelle società patriarcali è stata sempre considerata fonte di disordine e di sconvolgimento degli equilibri familiari e sociali, qui garantisce equilibrio e armonia per tutti i membri della comunità.

Come nell'ambito della famiglia estesa, anche nel campo delle relazioni amorose non esiste il concetto di proprietà privata. Tra i Moso nessuno pensa di appartenere alla persona di cui è innamorato e nessuno pensa di fare della persona amata la ragione della sua esistenza. Da qui un concetto di amore assolutamente disinteressato, non legato né alla classe sociale né alla situazione economica. Amore e sesso qui non vogliono dire possesso! "Ti amo, ma non sono tua/o" sembra essere il messaggio su cui si basa il sentimento amoroso. L'amore inteso in questo modo lascia anche poco spazio alla gelosia, considerato un sentimento distruttivo, fonte di conflitti e di violenza. Noi l'associamo erroneamente all'amore. I Moso arrivano a stigmatizzarla, la disprezzano e la condannano, irridendo chi si mostra geloso e accusandolo di contravvenire alle regole.

Tutti poi si guardano bene dal promettere fedeltà eterna, per cui un'infedeltà, anche se in un'unione stabile è considerata una trasgressione, viene tollerata. È piuttosto il ricorso alla violenza che fa perdere la faccia; ma se il proprio partner ha un incontro clandestino non è certo la fine del mondo.

Le figlie non escono e i loro compagni non entrano: un'espressione che esplicitamente e con molta chiarezza ci informa che le figlie non abbandonano mai la casa materna per andare a vivere in casa dell'uomo, come avviene nel resto della Cina, mentre gli innamorati delle figlie non faranno mai parte della famiglia: se si rispetta questa regola, la grande famiglia moso resterà unita. Inoltre per la continuazione e la sopravvivenza della famiglia è importante che ci sia almeno una figlia femmina. La nascita di una figlia femmina presso i Moso è una grande benedizione e non una disgrazia, al contrario di quanto avviene nel resto del paese e in molti altri paesi in cui la predilezione per i figli maschi è un fatto normale.

Gli uomini passano, la madre resta ripetono le madri alle figlie, anche con questa frase le madri moso esprimono chiaramente come il legame materno sia qualcosa di duraturo, mentre il legame amoroso può essere qualcosa di passeggero, aleatorio e per loro è chiaro che non si può costruire su un sentimento così fragile, per quanto intenso possa essere, un'istituzione come la famiglia che è supposta durare tutta la vita. L'educazione e la cultura vengono così trasmesse, oltre che con il modello, anche con parole ed espressioni dense di significato che si tramandano da madre in figlia e di generazione in generazione .

Per la società dei Moso mi permetto di usare la parola matriarcale e non le altre di uso più accademico come matrilineare, matrifocale, matrilocale, matristica, matricentrica, perchè, create per definire questo tipo di società, risultano riduttive. Ognuna di queste parole, infatti, corrisponde a un aspetto ben preciso di questa società e prese a solo non riescono a dare una visione d'insieme che ne comprenda tutti gli aspetti. Inoltre la parola matriarcato spesso viene confusa con il potere delle donne e viene paragonata al patriarcato facendole assumere, a torto, una connotazione negativa. Heide Göttner-Abendroth, fondatrice di Hagia, Accademia degli studi matriarcali moderni, associa questa parola all'origine della formazione delle prime società la cui organizzazione si svolgeva intorno al legame materno: mater + archeo sta per "all'inizio le madri" e non il dominio delle madri. Stando a questa definizione non si può considerare il matriarcato come l'opposto femminile del patriarcato.

Secondo il sociologo Pierre Bourdieu "usare una parola per un'altra è cambiare la visione del mondo sociale e contribuire a trasformarlo.

Quindi mi sembra importante liberare questa parola dalla sua connotazione negativa e usare la parola matriarcato appropriatamente per definire tutte quelle società egualitarie che hanno una struttura socio-familiare e politico-economica simile a quella dei Moso.

L'"universalità" di alcuni concetti a sostegno del patriarcato non regge il confronto con una cultura matriarcale

Concetto di famiglia e consanguineità

La società dei Moso ha tutto quel che serve per sfidare i pilastri dell'antropologia classica e per sfidare l'ambizione di universalità del patriarcato.

Se si prende in esame l'aspetto socio-familiare, è quello che più distingue la cultura moso, non solo rispetto alle culture occidentali, ma anche nel confronto con altre culture matriarcali. La famiglia che da molti antropologi di fama mondiale viene definita universale e che corrisponde al modello di famiglia nucleare androcratica, non corrisponde affatto al modello matriarcale dove la famiglia è matrilineare, cioé estesa a tutti i discendenti della linea materna.

Questi sono i soli ad essere considerati consanguinei, e nessun membro esterno ad essa ne fa parte, nemmeno il padre naturale, per cui anche il concetto di consanguineità assume, in tale contesto, un valore sociale piuttosto che biologico. Inoltre, avendo il padre naturale un ruolo marginale e periferico, non esiste in lingua moso una parola per indicarlo, i Moso usano per lui la stessa parola che per lo zio materno, awu.

Quella dei Moso è una società in cui la parola potere si potrebbe definire come potenza femminile e materna e mentre nella società occidentale la parola potere viene associata ad abusi, discriminazione e corruzione, nella società moso questa assume il significato di condivisione che unita allo sforzo di raggiungere un consenso decisionale ampiamente condiviso, fa della comunità moso una società con un senso del rispetto e dell'uguaglianza assai profondo.

La dabu, il suo ruolo-guida e la pratica del consenso

Il potere nel suo significato di potenza femminile è affidato alla dabu che, con le sue doti di donna abile e saggia, guida la sua numerosa famiglia che può contenere fino a quattro generazioni. Trasmette il nome e i beni e gestisce l'economia familiare. Tradurre la parola dabu con capo-famiglia, significa associarla inevitabilmente alla figura del padre di famiglia, figura che nella famiglia moso non esiste. Parlare di ruolo femminile e di ruolo maschile significherebbe operare una divisione dei ruoli di genere tipica delle società occidentali e patriarcali.

 

Benchè alcune delle attività svolte dagli uomini e dalle donne siano differenti, non esiste assolutamente l'idea che queste siano inevitabilmente associate a un sesso in opposizione all'altro, non esiste un'attività considerata inferiore o superiore ad un'altra. Quella dei Moso è una struttura sociale fondata sull'eguaglianza complementare e non sulla gerarchia, per cui pur riconoscendo la diversità biologica, i due generi rimangono in perfetto equilibrio.

 

 

In famiglia tutte le decisioni vengono prese applicando la pratica del consenso. Le innumerevoli discussioni, cui partecipano tutti i membri adulti della famiglia terminano solo quando si arriva a un accordo. La dabu, considerata la persona più saggia, guida la discussione per raggiungere l'accordo, i suoi consigli e suggerimenti sono tenuti in grande considerazione.

I beni sono indivisibili e restano in famiglia. L'indivisibilità del patrimonio familiare fa sì che un membro di essa non possa arricchirsi a discapito di un altro; tutti lavorano insieme per contribuire alla prosperità della famiglia, aiutandosi a vicenda e instaurando rapporti di solidarietà. Non esiste il mio o il tuo, esiste il nostro.

Il concetto di solidarietà, su cui si fondano le relazioni familiari, è alla base anche della struttura economica tradizionale delle comunità Moso: un'economia del dono, un tipo di economia che è esistito ed esiste da millenni nelle società matriarcali, in cui il soddisfacimento dei bisogni non passa attraverso l'appropriazione privata né attraverso il profitto, non genera contrapposizione e divisione coatta del lavoro tra uomini e donne, né divisioni della popolazione in ricchi e poveri. Anche in questo campo quindi si riflette il principio etico della logica materna, che viene applicato in ogni sfera della società.

Conclusione

Per concludere quella dei Moso è una società egualitaria che ha dato vita a valori che ancora oggi garantiscono una vita armoniosa e pacifica. Una società nella quale domina una visione serena dell'amore e del piacere sessuale, dove le donne sono il fulcro della vita familiare e sociale, condividendo con l'altro sesso gli incarichi di responsabilità.

Ciò non significa che la società dei Moso sia immune da ogni genere di problema, ma è senz'altro opportuno riflettere sugli aspetti della sua singolare organizzazione che consentono una vita certo più armoniosa di quella che le nostre società riescono a offire. Si tratta di un altro modo di concepire la vita, la famiglia, il rapporto uomo-donna. È solo una visione del mondo diversa dalla nostra. Un mondo in cui maschile e femminile non sono contrapposti, ma si completano e si rafforzano a vicenda.

Qui le donne non vengono violentate o uccise, i bambini non vengono maltrattati o abusati e le persone anziane non vengono abbandonate a se stesse.

 

 

La società matriarcale moso rischia però di scomparire

La sopravvivenza di questa società è oggi messa in pericolo dall'influenza esterna dell'attuale modello culturale di tipo androcratico dominante e da un modello economico basato sull'economia di mercato.

Lo sviluppo economico dovuto in massima parte all'afflusso dei turisti, se da una parte sta migliorando le condizioni di vita degli abitanti di questi villaggi, dall'altra sta facendo sì che il modello economico tradizionale basato sulla solidarietà venga sempre più soppiantato dalla competitività.

Ogni giorno migliaia di turisti invadono i due villaggi di Luoshui e di Lige dove investitori pechinesi e taiwanesi hanno già cominciato a costruire hotel di lusso con vista sul lago.

Un'autostrada che collega l'aeroporto di Lijiang al lago Lugu è stata appena costruita e esiste un progetto per la costruzione di un aeroporto per facilitare l'accesso dei turisti. Ma il turismo genera pure inquinamento e i Moso non sanno ancora come gestirlo.

Bisogna considerare anche che il tasso di crescita demografica qui è molto più basso che nel resto della Cina.

Se a questi fattori aggiungiamo pure l'influenza della televisione e dei programmi scolastici cinesi, possiamo immaginare l'inizio della fine.

Ma la società moso è una società ancestrale, che esiste da almeno duemila anni, una società che ha manifestato una tenacia e una resistenza in tutte le situazioni storiche che si sono presentate, e ha resistito a tutte le pressioni del governo cinese, che ha sempre considerato lo stile di vita moso come improntato al libertinaggio e alla promiscuità, e ha cercato in tutti i modi di imporre il modello patriarcale dominante. Resisteranno i Moso anche alle nuove influenze negative esterne, fino a poco tempo fa estranee alla loro cultura? È da seguire...

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La società matriarcale dei Moso
Un modello di socialità ugualitaria nel mondo contemporaneo

Francesca Rosati Freeman, Ottobre 2012

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Premessa

Sulle usanze e tradizioni della società matriarcale dei Moso, composta da una minoranza etnica di circa 50.000 persone e stanziata nel sud-ovest della Cina, a cavallo tra le due regioni dello Yunnan e del Sichuan, ho avuto modo di svolgere, per sette anni, un'indagine sul campo i cui risultati sono raccolti nel volume Benvenuti nel paese delle donne [1]. Queste pagine ne rappresentano una sintesi, inevitabilmente, selettiva e parziale.

I Moso vivono, in una ventina di villaggi situati attorno ad un lago di una bellezza incantevole, sulle pendici dell'Himalaya, a 2700 metri. Non sono abbastanza numerosi per avere uno statuto autonomo e per questa ragione sono considerati un ramo dei Naxi, una minoranza etnica più numerosa che conta 300.000 persone e che sembra avere delle radici comuni con i Moso.

Provengono entrambi dal Tibet, ma mentre i Moso grazie al loro isolamento hanno mantenuto intatta la loro struttura matriarcale, i Naxi sotto l'influenza delle varie dinastie imperiali che si sono succedute hanno cambiato i loro costumi e oggi le due etnie hanno una struttura socio-familiare molto diversa. Durante i miei vari soggiorni nel territorio moso, ho avuto modo di osservare e di approfondire vari aspetti di questa società, accorgendomi anzitutto che vi regna una grande armonia. Il dato che è emerso fin da subito, grazie all'osservazione diretta e alle testimonianze degli stessi Moso, è che gli aspetti socio-familiare, economico, politico, religioso e spirituale sono legati fra di loro e contribuiscono tutti insieme alla prevenzione dei conflitti e alla salvaguardia della pace.

1. Aspetti dell'organizzazione sociale e familiare

L'aspetto socio-familiare è quello che più distingue la cultura moso, non solo rispetto alle culture occidentali, ma anche nel confronto con altre culture matriarcali: la famiglia è matrilineare, estesa a tutti i discendenti della linea materna, i soli ad essere considerati consanguinei, e nessun membro esterno ad essa ne fa parte, nemmeno il padre naturale, per cui il concetto di consanguineità assume, in tale contesto, un valore sociale piuttosto che biologico.

"Le figlie non escono e i loro compagni non entrano", cioè le figlie non abbandonano la casa materna per andare a vivere in casa del compagno, mentre i compagni delle figlie non faranno mai parte della famiglia: questa è una regola da rispettare per mantenere la grande famiglia unita. " Gli uomini passano, la madre resta" ripetono le madri alle figlie.

In una famiglia si possono trovare fino a quattro generazioni e a capo di essa vi è la dabu, la donna più abile, più saggia e in genere la più anziana. Trasmette il nome e i beni e gestisce l'economia familiare. La famiglia moso ha una struttura molto solida, direi perenne, e non si disgrega mai. Ciascuno vi trova il proprio ruolo, adempiendo il quale si sente responsabilizzato e, allo stesso tempo, protetto. Benchè ci siano ruoli maschili e ruoli femminili, non esiste assolutamente l'idea che questi siano inevitabilmente associati a un sesso in opposizione all'altro. Quella dei Moso è una struttura sociale fondata sull'eguaglianza complementare: i due ruoli non sono mai gerarchici e i due generi rimangono in perfetto equilibrio.

L'indivisibilità dei beni all'interno di una famiglia fa sì che un membro di essa non possa arricchirsi a discapito di un altro; tutti lavorano insieme per contribuire alla prosperità della famiglia, aiutandosi a vicenda e instaurando rapporti di solidarietà. Non esiste il mio o il tuo, esiste il nostro.

Inoltre, tutte le decisioni vengono prese all'unanimità dopo innumerevoli discussioni, a cui partecipano tutti i membri adulti della famiglia che terminano solo quando si arriva a un accordo. La dabu, considerata la persona più saggia, guida la discussione per raggiungere l'accordo, i suoi consigli e suggerimenti sono tenuti in grande considerazione. Sua è l'ultima parola in merito ad ogni decisione, non nel senso che essa ponga termine alla discussione con una decisione personale cui tutti devono piegarsi, bensì nel senso che a lei tocca l'onere di offrire una sintesi che tenga conto delle opinioni, dei bisogni e dei desideri espressi da ognuno dei componenti familiari.

La condivisione dei beni, unita alla complementarietà dei ruoli e allo sforzo di raggiungere un consenso decisionale ampiamente condiviso, fanno della comunità moso una società con un senso del rispetto e dell'uguaglianza assai profondo.

Un fattore che differenzia profondamente la comunità moso da molte altre è l'esclusione del matrimonio e della convivenza dallo stile di vita tradizionale. Anzi questi sono ritenuti un attacco alla famiglia stessa. La coppia è, infatti, semplicemente considerata troppo instabile per far coincidere amore, famiglia e coabitazione.

Ciò non significa che i Moso rinuncino all'amore, alle relazioni sessuali e alla procreazione. Al compimento del tredicesimo anno d'età, una grande cerimonia segna il passaggio dall'infanzia alla vita adulta. Sia le ragazze che i ragazzi ricevono il costume tradizionale che indosseranno per le feste e le cerimonie, oltre che per le danze serali, ma la ragazza riceve anche la chiave della sua "camera dei fiori" dove, quando si sentirà pronta, riceverà la persona di suo piacimento. Da questo momento comincia, sia per le ragazze che per i ragazzi, una nuova vita con un nuovo statuto sociale, con l'acquisizione del diritto di partecipare a tutte le attività familiari, sociali e amorose.

La separazione della vita familiare dalla vita amorosa, se da una parte consente la salvaguardia della famiglia, dall'altra garantisce a tutti, uomini e donne, una grande libertà in fatto di sesso. Questo tipo di struttura permette alle donne di avere il controllo del proprio corpo e della propria sessualità e, poichè uomini e donne non vivono sotto lo stesso tetto, ma si incontrano nottetempo nella camera di lei, non si litiga mai per la precarietà della situazione economica familiare né per incompatibilità di carattere e tantomeno si entra in conflitto con i parenti del proprio partner.

Non si litiga nemmeno per l'educazione dei figli, che appartengono alla madre e alla famiglia materna, sono considerati la reincarnazione degli antenati, e sono educati da tutti i membri della famiglia con molta cura e con molto affetto. Inoltre, pur avendo un ruolo marginale e nessuna responsabilità materiale, il padre biologico può avere una relazione affettiva con i propri figli, che comunque non sono mai privati di una figura maschile con funzioni e responsabilità paterne, incarnata dallo zio materno, mentre nessun uomo è privato della sua funzione di padre, anche se non ha figli propri, poichè riveste le funzioni paterne nei confronti dei bambini delle sorelle. "I bambini sono tutti uguali e sono di tutti e devono essere educati allo stesso modo, con affetto e fermezza, trasmettendo loro i valori della nostra società", afferma un uomo sulla trentina che ha due figli naturali e si occupa dei sette figli delle sorelle. L'affetto per loro è lo stesso, cambiano solo le responsabilità materiali, ma di questo si occupano le rispettive famiglie.

Mancando matrimonio e convivenza non si danno casi di violenza coniugale e, in caso di separazione, non c'è nessun cambiamento di carattere materiale né per gli adulti né per i bambini. Il padre non potrà pretendere l'affidamento dei figli, la madre non sarà sola a educarli, il suo status economico e sociale non cambierà e i bambini non si accorgeranno nemmeno della separazione dei genitori, non cambieranno né casa né abitudini, ma continueranno a vivere in seno alla famiglia materna. Il padre, sebbene non abbia più una relazione amorosa con la madre, non interromperà il rapporto affettivo con i figli, li incontrerà quando vorrà e continuerà a dar loro consigli e regali. La separazione della coppia non implica il disfacimento della famiglia. In tal modo si evitano quei turbamenti psicologici che, nelle nostre società, vengono provocati dalle separazioni e che richiedono anni di psicoterapia per essere sanati.

La libertà sessuale, che nelle società patriarcali è stata sempre considerata fonte di disordine e di sconvolgimento degli equilibri familiari e sociali, qui garantisce equilibrio e armonia per tutti i membri della comunità. Come nell'ambito della famiglia estesa, anche nel campo delle relazioni amorose non esiste il concetto di proprietà privata. Tra i Moso nessuno pensa di appartenere alla persona di cui è innamorato e nessuno pensa di fare della persona amata la ragione della sua esistenza. Da qui un concetto di amore assolutamente disinteressato, non legato né alla classe sociale né alla situazione economica. Amore e sesso qui non vogliono dire possesso! L'amore inteso in questo modo lascia anche poco spazio alla gelosia, considerato un sentimento distruttivo, fonte di conflitti e di violenza, la cui esistenza nella nostra cultura patriarcale è giustificata dalla convinzione erronea che essa sia inscindibile dall'amore. I Moso arrivano a stigmatizzarla, la disprezzano e la condannano, irridendo chi si mostra geloso e accusandolo di contravvenire alle regole.

Tutti poi si guardano bene dal promettere fedeltà eterna, per cui un'infedeltà, anche se in un'unione stabile è considerata una trasgressione, viene tollerata. È piuttosto il ricorso alla violenza che fa perdere la faccia; ma se il proprio partner ha un incontro clandestino non è certo la fine del mondo. Sebbene nelle famiglie tradizionali moso la violenza solitamente non esista, si verificano dei casi sporadici, e qualora venga commesso un atto di violenza esso non viene occultato, ma reso pubblico, e viene offerta la mediazione di una persona reputata saggia. L'insuccesso della mediazione può dar seguito alla celebrazione di riti e se anche questi dovessero rivelarsi inefficaci, si propenderà per l'allontanamento dell'individuo violento con tutta la sua famiglia, che in questi casi è supposta non aver dato una buona educazione, conforme alle regole della comunità.

2. Aspetti politici, economici e spirituali

Anche la struttura politica, così come quella socio-familiare, è basata su un consenso decisionale ampiamente condiviso: una commissione amministrativa composta da uomini e donne ha il compito di fare da intermediaria fra gli abitanti e il capo del villaggio, ruolo riservato nella maggior parte dei casi ad un uomo, ma le donne non ne sono escluse. Quando si presenta un problema sociale, sono le dabu, le rappresentanti delle famiglie, che, dopo essersi confrontate con i membri adulti della propria famiglia, ne discutono ancora fra di loro e, quando arrivano a un'intesa, esprimono la loro opinione alla commissione amministrativa e al capo del villaggio, che ha il ruolo di coordinatore. La stessa cosa succede quando si tratta di raggiungere un accordo intercomunale fra i vari villaggi. In questo modo si pone un forte ostacolo allo sviluppo di gerarchie e al rischio che una minoranza resti inascoltata o ignorata.

Se elette capovillaggio, le donne spesso rifiutano l'incarico, per non aggiungere anche questa responsabilità a quella non meno importante di gestire la propria famiglia, che in genere è abbastanza numerosa, ma ciò non accade sempre. Attualmente, ad esempio, il capo di Lige, un villaggio diventato negli ultimi tempi molto turistico, è una donna.

Il concetto di solidarietà, su cui si fondano le relazioni familiari, è alla base anche della struttura economica tradizionale delle comunità Moso: un'economia del dono, secondo la definizione offertane da Geneviève Vaughan. Ricercatrice indipendente e femminista italo-americana, autrice del libro Per-donare. Una critica femminista dello scambio [2], G. Vaughan ci presenta un tipo di economia che è esistito ed esiste da millenni nelle società matriarcali, in cui il soddisfacimento dei bisogni non passa attraverso l'appropriazione privata né attraverso il profitto, non genera contrapposizione e divisione coatta del lavoro tra uomini e donne, né divisioni della popolazione in ricchi e poveri.Anche in questo campo quindi si riflette il principio etico della logica materna, che viene applicato in ogni sfera della società. Malgrado il turismo abbia già cominciato ad essere la risorsa economica principale nei due villaggi di Luoshui e di Lige, alcune attività, come il trasporto dei passeggeri in barca, sono ancora oggi basate sulla solidarietà collettiva: dopo aver dato a tutti le stesse opportunità di lavoro, i proventi vengono divisi equamente fra tutte le famiglie del villaggio. Sebbene le famiglie moso si attengano ancora ad un comportamento orientato ad evitare l'arricchimento di alcune famiglie a discapito di altre, il divario economico fra le famiglie e fra i villaggi turistici e quelli rurali sta diventando sempre più evidente. Le attività legate al turismo non sono però ancora riuscite a soppiantare l'agricoltura e l'allevamento di maiali e capre, che restano le attività più diffuse, inseme alla tessitura e alla fabbricazione di gioielli d'argento.

L'aspetto spirituale è forse quello che, più di ogni altro, contribuisce a creare e mantenere l'armonia fra uomini e donne, adulti e bambini, giovani e anziani. E' l'energia che connette tutti gli aspetti della comunità. La religione praticata dai Moso è il buddhismo tibetano, ma di fatto non hanno mai rinunciato al loro sciamanesimo primitivo, tanto che spesso lama e daba, i preti sciamani, si ritrovano insieme ad officiare le stesse cerimonie religiose.

Credere negli spiriti della natura e nella divinità delle montagne, considerare la natura sacra e rispettarla come tale, fa sì che i Moso riescano anche a preservare dalla distruzione e conservare intatti per le generazioni future gli ambienti in cui abitano. La venerazione che i Moso hanno per la natura e la loro spiritualità si riflettono in ogni piccolo gesto quotidiano; ne sono un esempio il fatto che percorrano avanti e indietro le strade dei villaggi girando i loro mulini di preghiera per ingraziarsi gli spiriti della natura e che girino attorno allo stupa (monumento funerario) più volte al giorno. Ma soprattutto vengono fatte offerte quotidiane agli antenati sull'altare di casa prima del pranzo o della cena e tutte le dabu partecipano al ritiro spirituale nell'isoletta di Liwubi in mezzo al lago. La venerazione della natura trova il suo culmine nel pellegrinaggio alla grande dea creatrice e protettrice di tutti i Moso: Gammu, la montagna sacra.

I lama mai sarebbero riusciti a convertire i Moso, se non avessero accettato di integrare il culto di Gammu nei propri riti. Ogni anno, nel venticinquesimo giorno del settimo mese del calendario lunare, tutti i Moso in costume tradizionale si recano in pellegrinaggio ai piedi della montagna per venerare con canti e danze la loro protettrice e propiziarsi la dea, "perchè se Gammu è contenta, il raccolto sarà abbondante, non ci saranno né uragani né alluvioni e tutti i campi saranno protetti" mi dice una donna. Gammu, in realtà, simboleggia i diversi aspetti della natura; quelli benefici certo, ma anche i rischi e i pericoli: così come può assicurare raccolti abbondanti, può anche provocare tempeste, siccità, carestie e alluvioni

. Il divino è, per la religiosità dei Moso, un principio immanente alla natura, non trascendente ad essa. Tutta la natura è sacra e la divinità è donna: il lago in lingua moso si chiama Shinami, cioé "lago madre". A Gammu, la grande Dea creatrice, si riconosce la funzione partenogenetica, la creazione dal nulla, e alla donna si riconosce la funzione della continuità della vita, una funzione creatrice che fa della sacralità, della natura e della donna, una sola entità.

Da questo principio, che viene riconosciuto da tutti, uomini compresi, scaturisce un grande rispetto per le donne. Qui le donne non vengono violentate o uccise, i bambini non vengono maltrattati o abusati, le persone anziane non vengono abbandonate a se stesse. La nascita di una figlia femmina presso i Moso è una grande benedizione e non una disgrazia, al contrario di quanto avviene nel resto del paese e in molti altri paesi in cui la predilezione per i figli maschi è un fatto normale.

Conclusioni

Nel suo assetto tradizionale, quella dei Moso si presenta come una società in grado di preservare la pace, dentro e fra le diverse famiglie e i diversi villaggi, preferendo la tolleranza e l'autocontrollo, relazioni umane e sociali solidali, alla violenza e agli attacchi di gelosia. Una società nella quale domina una visione serena dell'amore e del piacere sessuale, dove le donne hanno il controllo del proprio corpo e della propria sessualità e sono il fulcro della vita familiare e sociale, senza bisogno di opprimere l'altro sesso, ma condividendo con questo gli incarichi di responsabilità.

Ciò non significa che la società dei Moso sia immune da ogni genere di problema, ma è senz'altro opportuno riflettere sugli aspetti della sua singolare organizzazione che consentono una vita certo più armoniosa di quella che le nostre società riescono a offire. Si tratta di un altro modo di concepire la vita, la famiglia, il rapporto uomo-donna. È solo una visione del mondo diversa dalla nostra. Un mondo in cui maschile e femminile non sono contrapposti, ma si completano e si rafforzano a vicenda.

Il rispetto per la persona e la natura, l'economia del dono e la cura della vita sono valori tradizionali che vengono trasmessi dalle madri ai figli, siano essi femmine o maschi, e di generazione in generazione. Essi sono alla base dell'educazione dei Moso e fanno sì che le relazioni interpersonali, di coppia e fra famiglie, siano prevalentemente armoniose, o consentano risoluzioni non violente dei conflitti. La società dei Moso è, pertanto, come tutte le altre società matriarcali, una società di pace, una comunità che, nel 1995, in occasione del 50° anniversario dell'ONU, è stata definita dalla ONG Friends of The United Nations una società modello, capace di offrire soluzioni positive e pratiche a problemi difficili e di fornire alle altre comunità e alle Nazioni Unite una lezione cui ispirarsi. Tuttavia, purtroppo, finora, in nessuno dei paesi che aderiscono all'ONU l'esempio solidale e pacifista delle società Moso sembra oggi riuscire ad attecchire, a suggerire sul piano dell'organizzazione economica e politica, dei rapporti tra uomini e donne, del rispetto della vita e della natura soluzioni meno distruttive. Il rischio palese, per i Moso, come per tutte le società egualitarie ancora esistenti, è, piuttosto che accada il contrario: che esse siano fagocitate dai sistemi di potere e dai modelli di vita dominanti.

Lo stile di vita tradizionale è tuttora praticato nella maggior parte dei villaggi moso, ma in alcuni villaggi, quelli più turistici (che sono ancora in netta minoranza), sono già tangibili i segni di imminenti cambiamenti. Ogni giorno gruppi di turisti invadono i due villaggi di Luoshui e di Lige; qui immigrati Han continuano ad aprire negozi di souvenir, investitori taiwanesi hanno già cominciato a costruire hotel di lusso con vista sul lago, e un'autostrada che collega l'aeroporto di Lijiang al lago Lugu è stata appena costruita per facilitare l'accesso dei turisti, mentre i giovani dei villaggi poveri emigrano verso le grandi città in cerca di lavoro.

La società moso è una società ancestrale, che esiste da almeno duemila anni, una società che ha manifestato una tenacia e una resistenza in tutte le situazioni storiche che si sono presentate, e ha resistito a tutte le pressioni del governo cinese, che ha sempre considerato lo stile di vita moso come improntato al libertinaggio e alla promiscuità, e ha cercato in tutti i modi di imporre il modello patriarcale dominante.Resisteranno i Moso anche alle nuove influenze negative esterne, fino a poco tempo fa estranee alla loro cultura?

[1] F. ROSATI FREEMAN, Benvenuti nel paese delle donne. Xledizioni, Roma 2010.
[2] G. VAUGHAN, Per-donare. Una critca femminista dello scambio. Meltemi Editore, Roma 2005. Vaughan contrappone questo tipo di organizzazione economica, basata sul "paradigma del dono", orientata a sopperire al bisogno e non a quantificare e mercificare ciò che viene dato, a quella del libero scambio, oggi dominante.

Pubblicato in Etologia ed etica ISBN 978-88-548-5204-4 DOI 10.4399/978885485204417 pp. 219-231 (ottobre 2012)

 
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